L’aereo parte da Malpensa carico
del nostro entusiasmo, del nostro “finalmente arriviamo”. Roma. Addis Abeba.
Kigali. Bujumbura. L’Ethiopian Airline ci porta a destinazione nel nostro
piccolo paese africano, il Burundi. Siamo gli unici bianchi, gli sguardi
curiosi si posano insistenti su di noi. Non abbiamo mai capito così bene cosa
significhi essere “diversi”. Il nostro caro fra Giuseppe è pronto ad accoglierci.
Ci aspettano ancora cinque ore di jeep, durante le quali il paesaggio diventa sempre
più rurale, le case capanne, la gente più povera. Cresce l’adrenalina insieme
al senso di straniamento e di disagio. La sera dopo un lungo viaggio,
sorridendo sotto le zanzariere, ci chiediamo cosa ci facciamo in questo mondo
così lontano.
Il sorgere del sole cancella le
ombre e ci mostra la realtà, i bambini ci accolgono al suono di “humuzungu”
(uomo bianco) e “kabombo” (caramella). Dunque prima lezione: l’uomo bianco è
uno strano essere dispensatore di caramelle. Il primo a correrci incontro
zoppicante è Lambert…col suo fedele compagno sbavante, Cedric. Seconda regola:
non sottovalutare quei due (la sposa che si è ritrovata chiusa in bagno ne sa
qualcosa).
I bambini con cui stiamo hanno
disabilità di diverso tipo, molte di carattere neurologico. Nelle loro famiglie
molti di loro non sarebbero arrivati a quest’età. Giochiamo con loro, tentiamo
maldestramente di farli camminare e di dargli da mangiare. Osserviamo fra
Giuseppe in veste di fisioterapista che li cura e li difende con amore
istancabile. È la nostra guida che ci conduce a scoprire le difficoltà dell’essere
missionari oggi, le contraddizioni della Chiesa locale, la solitudine di chi
non ha paura di andare avanti.
Anche noi che pensavamo di essere
“aperti”, giorno dopo giorno, ci rendiamo conto che non siamo capaci di stare
con gli ultimi, perché sporcarci (anche nel senso letterale del termine) ci
intimorisce. Perché la nostra civiltà, che ci ha reso forti nel progresso, ci
ha reso deboli nella paura dell’imperfezione, dello sporco, della disabilità, della
vecchiaia, della malattia, della morte. Col passare dei giorni il nostro distacco e le nostre paure svaniscono. Siamo noi ad essere guariti dalle nostre infermità, proprio come S. Francesco nell’incontro con il lebbroso, per la grazia di Dio.
Prima di rendercene conto e metabolizzare
siamo già di ritorno, ai mille impegni quotidiani. Milano è illuminata dalla
luci di Natale… la festa che ricorre per la nascita di un Signore che è frutto del parto di una sedicenne in mezzo allo
sterco.
La tavola è imbadita, il
panettone è pronto… ma Eliana (7 anni, 5 kg) avrà mangiato?